NEMICI
DEL POPOLO
Una delle tante ridicole credenze degli sventurati è che le loro miserie
debbano necessariamente suscitare simpatia.
Questa è davvero la più tenace delle loro convinzioni.
Non è mai troppo sbagliato dimostrare, nel loro stesso interesse, fino a che
punto una simile convinzione sia grottesca. Se i diseredati fossero le vittime
di una sorte implacabile e non potessero in alcun modo migliorare la loro
posizione, senza dubbio si converrebbe di compiangerli e magari di trasformare
in amore la pietà che ispirano. Ma non è affatto così. Gli sventurati non
sono tali loro malgrado. Lo sono perché vogliono esserlo. Hanno posto
volontariamente il collo sotto il giogo e preferiscono non levarlo. È dunque
comprensibile che un certo numero di persone non provi nei loro riguardi alcuna
compassione, o che addirittura provi rabbia e disgusto per tanta stupidità e
tanto avvilimento.
Il "popolo" ha degli amici. Che se li tenga! In genere sono degni
l'uno degli altri. Ma che abbia anche i suoi nemici, per quanto indegno di loro
possa essere! Capisco che si possa essere amico di un povero animale, di un
cavallo o di un asino condannato ai lavori più duri, senza difesa e senza
parola. Non comprendo come si possa essere, ai giorni nostri, amici del popolo.
L'abominevole e tirannica sottomissione popolare ha potuto avere, fino ad ora,
degli alibi, delle giustificazioni: l'ignoranza o l'impossibilità materiale di
una lotta. Oggi, il popolo è cosciente e sa dove trovare le armi adatte alla
bisogna. Non ha più scuse.
Che cos'è il popolo? È quella parte della specie umana che non è libera,
potrebbe esserlo e non lo vuole; che vive oppressa, fra incomprensibili
sofferenze; o che opprime, con stupido godimento. Ed è sempre rispettosa delle
convenzioni sociali.
È la quasi totalità dei poveri e la quasi totalità dei ricchi. È il gregge
delle pecore e il gregge dei pastori. È la maggioranza delle Mani Callose e dei
Denti Compiaciuti, degli Occhi Stanchi e dei Culi Rifatti. Agnelli, Berlusconi,
il piccolo servo Trentin, l'immortale Andreotti, Umberto Eco, Vittorio Sgarbi,
il cardinale Carlo Maria Martini, Pippo Baudo, Occhetto, i tre moschettieri Di
Pietro-Colombo-Casson, Michele Santoro: fanno tutti parte del popolo, proprio
come tutti i lavoratori e i disoccupati che chiedono salari e diritti.
Al di là del popolo ci sono gli individui, i fuori-popolo. È inutile fare
nomi. Sono le persone che hanno nutrito odio per ciò che esisteva ai loro tempi
e che hanno concretizzato questo odio secondo le personali attitudini e le
proprie possibilità. Sono tutti quelli che odiano ciò che attualmente esiste,
che rifiutano il cosiddetto contratto sociale e rifiutano di accordare la loro
simpatia sia ai vigliacchi che l'accettano sia agli ipocriti che lo discutono. I
fuori-popolo sono persone consapevoli che non esistono più vittime; che le
sedicenti vittime della menzogna sociale sanno benissimo a cosa aggrapparsi di
questa menzogna sociale e la accettano come verità solo per codardia o per
interesse.
Fino ad ora, gli amici del popolo non hanno fatto che falsare i sentimenti più
autentici, avendo per lo più esercitato o subìto il potere. Gli istinti sono
stati talmente soffocati che l'Odio viene considerato come un vizio orribile,
una passione inconfessabile che disonora l'infima minoranza che ancora tormenta.
In effetti esso esiste raramente e si osa a malapena lasciarlo indovinare. C'è
da credere che senza i grandi individui del furore che riaccesero la scintilla
nei cuori degli esseri lanciandoli con o senza ragione gli uni contro gli altri,
la facoltà di odiare avrebbe cessato d'essere una possibilità umana. Gli
Spartaco, gli Attila, i Ravachol, i Bonnot meritano la nostra eterna
gratitudine. Grazie a loro l'individuo non è ancora caduto al rango di pecora.
Può ancora odiare. Può ancora essere scosso dalla più grande e dalla più
generosa delle passioni.
Dal momento in cui un essere impara a odiare, cessa di appartenere al popolo. Il
popolo non può odiare; non c'è odio fra i ricchi e i poveri che lo compongono,
solo un certo grado di invidia. I ricchi confessano perfino di invidiare la
fortuna dei poveri, lo riconoscono. Il popolo non può odiare neanche gli
individui. Non può farlo. Li adora tremando; o li scomunica con un sospiro.
L'odio dell'individuo per il popolo dovrà essere intenso e costante. Prima o
poi ciò accadrà, questo odio troverà formidabili mezzi di espressione. Ma per
il momento è abbastanza difficile per un fuori-popolo odiare costantemente il
belante gregge. Così come è altrettanto difficile per un amico del popolo
conservare a tutte le temperature una uguale umidità delle palpebre.
L'anarchico buono può digrignare i denti, di tanto in tanto; ed il
rivoluzionario autoritario potrebbe avere una lacrimona negli occhi, non ne
sarei sorpreso. Questione di ambiente, di momento, chi lo sa? Quando si
ghigliottinerà il Papa, sarà l'anarchico buono a domandare che gli si lasci il
tempo di dire la preghiera, e sarà forse il rivoluzionario autoritario a tirare
la cordicella come risposta.
Comunque la distinzione tra amici e nemici del popolo non si limita ad indicare
una differenza di temperamenti: separa due idee generali. La considerazione
delle idee generali serve per evitare perdite di tempo. Ognuna delle due idee
generali indica una strada diversa da seguire verso uno scopo che è - ne
convengo - instabile e abbastanza vago e che si può richiamare alla felicità;
ma che ritengo sia sufficiente denominare altro.
La via preconizzata dall'anarchico buono, la conosciamo. È la Sacra Via dei
fallimenti. I segnali indicatori sono scientifici a sinistra e religiosi a
destra. Del resto, non ci si può sbagliare: le lapidi, ornate coi nomi dei
Riformatori, indicano la via. Solitamente si muore in cammino, ma se si
raggiunge lo scopo, si può assurgere fino al cielo delle felicità ideali. Non
farò all'anarchico buono l'offesa di dire che è in buona fede. Me ne frego di
lui da tempo e non lo rimpiango affatto. Non che manchi di stima per lui;
bisognerebbe essere pazzi per disconoscere la rettitudine del suo carattere. Ma
le sue tendenze romantiche, a mio avviso, sono nefaste; bisogna impedirgli di
fare scuola. Un anarchico buono, va bene; un partito di anarchici buoni, no.
L'anarchico buono, prima di ogni altra cosa, è un confidente. Ha fiducia in
ogni possibilità, è tollerante e si ferma davanti al "libero corso delle
nostre istituzioni", proprio così. Difende la Democrazia dalle coalizioni
clerico-autoritaria. La difende - come fanno altri amici del popolo, meno
disinteressati di lui - in nome dei Princìpi, convinto di rendere in tal guisa
un servizio al popolo, di cui è l'amico fedele. Ed è ancora per servirlo che
si arruola nella marmaglia pacifista.
L'anarchico buono ci informa che il pacifismo può essere utile; anche i preti
ce lo fanno sapere. Ci insegna, inoltre, che il pacifismo ha sempre lottato
contro il potere e che ha canalizzato i propri sforzi verso questo mirabile
obiettivo: la liberazione dell'umanità. Mi dispiace dire all'anarchico buono
che si sbaglia. Si sbaglia in buona e numerosa compagnia - questo è vero -
insieme a tutti i sinceri democratici; ma si sbaglia.
La soppressione del capitalismo e dello Stato, è la sola possibilità che
abbiamo per cambiare le cose. Sarebbe bello credere nelle favole e pensare che i
potenti abbandoneranno volontariamente i propri privilegi senza scagliarci
contro i loro scagnozzi. Ma poiché invece reagiranno con forza, dovremo pur
combatterli in qualche modo. Quale?
Invito l'anarchico buono a consultare il suo Venerabile, dal quale senza dubbio
potrà ottenere qualche informazione in merito. Del resto, i "documenti
storici" non sono introvabili. Scoprirà cose che lo stupiranno. Perderà
probabilmente un po' della sua fede nei Princìpi, un po' della sua illimitata
fiducia. Ma ho già detto che oggi non esistono più vittime.
È soprattutto questo che vogliono i nemici del popolo: non essere vittime. E
neanche fingere di esserlo.
Non sono amici del popolo perché ritengono che il popolo, che non si ama da sé,
non sia affatto amabile. Pensano che il popolo sia solo un gregge e lo pensano
perché constatano che il popolo è un gregge. In spregio ai cataplasmi umani
che modellano con la loro accomodante commiserazione i vecchi ascessi sociali, i
nemici del popolo vogliono ben altro, cercano l'autentico, l'immediato. Pensano
che molti mezzi siano buoni - anche fra quelli che agli amici del popolo
appaiono atroci - e che il criterio della loro scelta non dipenda dal popolo,
non rappresentando affatto il loro referente.
Sostengono che esiste un solo crimine: l'inazione. Non cercano di conformare i
propri gesti ad un Ideale, che non solo è pregiudiziale, ma putrefatto fin
dalla preconcezione. Lasciano che l'ideale si sprigioni da sé, dai fatti e
dalle azioni. La via che preconizza il fuori-popolo, la conosciamo molto poco.
Ragione di più per esserne interessati.
Siamo certi che non incontreremo ad ogni passo i fetenti residui del Passato,
come accade sul percorso del rivoluzionario autoritario: la Bastiglia, il
Palazzo d'Inverno, etc. Non sappiamo bene dove andremo e lo confessiamo con
piacere; ma sappiamo come ci andremo. Andremo come cazzo vorremo! Non ci
interessa il compito di liberare l'Umanità. Vogliamo soddisfare il nostro
bisogno di libertà, adesso, subito. Il fuori-popolo è pieno di illogicità.
Speriamo che non se ne liberi. La fantasia è sovente più necessaria dei Princìpi.
Ma l'individuo che rifiuta tutte le dottrine ritenute sacre dal popolo e dai
suoi amici, non deve condannarsi al semplice ruolo di "protesta
vivente"; non vi troverebbe che un piacere insufficiente. Dopo tutto,
proverà gioie maggiori a distruggere gli idoli che non divertendosi con le
controversie dei loro fedeli. Del resto, più le superstizioni delle masse
diminuiranno di virulenza, più grande sarà la libertà d'azione lasciata
all'individuo. Il quale ha dunque interesse a far precipitare, per egoismo, la
lotta fra le due parti che compongono il popolo: gli esseri che non hanno niente
e rispettano la proprietà; gli esseri che hanno tutto e rispettano la miseria.
Gli è necessario, di conseguenza, rendere la propria posizione più solida
possibile, sia per l'attacco sia per la difesa.
Caratteristica delle pecore del popolo, o dei suoi amici, è la loro ostinazione
a porre al di fuori di sé, in formule vuote e astratte, le proprie speranze e
le cause delle loro tristi energie.
La caratteristica del fuori-popolo, viceversa, deve essere la sua ferma
risoluzione di porre in se stesso i propri moventi e i propri desideri.
Essendo l'uomo un animale terrestre - cosa trascurata dal popolo e dai suoi
amici, che sono cittadini delle nuvole - l'individuo deve restare in stretto
rapporto con la sua normale base, la Terra. Deve opporsi a questa mostruosità:
la scalata al Cielo. Proprio perché l'individuo è radicato nel fango deve fare
tutto il possibile per mettere fine all'abominio idealistico che è
l'aspirazione al Paradiso. La marcia dell'individuo, lungi dall'essere una nuova
marcia verso le stelle, sarà il percorso sempre più libero su una terra sempre
più libera.
Queste ultime considerazioni, che ammettono una progressione, non devono affatto
farmi scambiare per un evoluzionista. Credo alle rivoluzioni che producano non
leggi (sterili) ma metodi (fecondi). È necessario contrastare l'opinione
determinista e fatalista secondo cui una rivoluzione umana è un "fatto
scientifico" e "nessuno può farci niente". Una rivoluzione
scaturisce anche da un atto di volontà.
L'anarchico buono, naturalmente, crede che una rivoluzione sia sempre la
"conseguenza ineluttabile di bla bla". Quella che si prepara, secondo
lui, sarà "il risultato dell'evoluzione di un secolo formidabilmente
industriale". Lo sviluppo industriale e scientifico, è vero, potrà
offrire potenti mezzi d'azione alla rivoluzione. Ma non conduce per questo a una
rivoluzione, al contrario. La sua azione, se non ostacolata e impedita, condurrà
al dominio di una classe di "tecnici" privilegiati. Una parte sola del
lavoro umano - la meno necessaria - è ora remunerata; la tendenza s'accentua.
Contemporaneamente cresce il dogma mostruoso della bellezza, della santità del
Lavoro. Una grande parte della specie umana è rigettata nel nulla sociale. Fra
questa saranno i fuori-popolo, coscienti o incoscienti, a spingere la
rivoluzione, a costringere il popolo a tagliarsi la gola - infine! E se questa
rivoluzione sarà "il risultato dell'evoluzione etc", bisogna
considerare che questo risultato sarà assai indiretto.
In ogni caso, non sarà di certo "una vittoria proletaria". Questa non
è possibile. Il Popolo, ricco o povero, il popolo produttore di bambini, il
popolo che si perpetua in piccoli milionari e in piccoli morti di fame - questo
Proletariato dell'Autorità e dell'Obbedienza - ha già avuto la sua vittoria.
Ha avuto la vittoria in cui poteva sperare. Ne gode. Ne abusa. Non ha che la
sconfitta da attendere. Ed è bene che sappia che gli viene augurata - questa
sconfitta - dagli individui che non nutrono per lui che odio e che gli rifiutano
una simpatia che considerano complicità.
Gratis si occuperà
anche dei fuori-popolo, di queste donne e uomini della collera e del furore, di
questi nemici del popolo e delle convenzioni sociali. Ma non ne farà una cieca
esaltazione.
Non forgeremo nuovi idoli davanti a cui inginocchiarsi. Ciò che vogliamo è
soffiare sul fuoco, incitare all'odio sociale, fomentare la rivolta. Come
sempre, per sempre.