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2001-06-05

Venerdì 8 giugno, a Ivrea, Mostra sulla storia delle migrazioni, grigliata e dibattito su \"Migrazioni, razzismo, precarietà\"

a cura di \'Stranieri ovunque\'


Ogni giorno vediamo alimentare l\'odio tra gli sfruttati italiani e gli
sfruttati stranieri, tra \"noi\" e gli \"extracomunitari\". Giornali,
politici e padroni soffiano sul fuoco della nostra rabbia per una vita
sempre più precaria e insicura e costruiscono un nemici che non c\'è:
l\'immigrato. Non siamo certo paladini dell\'assistenzialismo e
dell\'integrazione, crediamo che il mondo sia diviso in poveri e ricchi,
in sfruttati e sfruttatori e non in \"comunitari\" ed \"extracomunitari\",
in \"clandestini\" e \"regolari\": siamo tutti clandestini. Non ci interessa
difendere gli immigrati, vogliamo invece individuare con loro i problemi
comuni, i nemici comuni, e lottare insieme.

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\"L\'avevamo quasi dimenticata, circondati come eravamo dal mondo delle
garanzie. Eccola di nuovo che ci sorprende e ci fa sobbalzare, la paura
del futuro. Vi ricordate come eravamo, solo venti, trenta anni fa? La
scansione meccanica e continua delle presse, i giorni ritmati dalla
sirena della fabbrica, la lenta costruzione di progetti di vita nei
quali il sacrificio quotidiano del lavoro prometteva, perlomeno, una
tranquillità a venire. Quanti di noi sono scappati dalle terre del Sud,
in cerca di questa promessa? E quanti di noi, polentoni e montanari fino
al midollo, hanno scoperto in quegli anni che era proprio con i nuovi
arrivati, con i terroni, che si poteva lottare e strappare ai padroni
una vita migliore? E quanti ancora, dal Nord o dal Sud, hanno voluto
avere tutto e subito, hanno sognato un mondo libero dal ritmo delle
presse, libero dai padroni e dai governi? Ci avevano intrappolato nelle
fabbriche, a quei tempi, e per farci stare più buoni si erano fatti
strappare tante promesse: pensioni, statuti dei lavoratori, scale mobili
e diritti sindacali... I potenti, ora, quelle fabbriche le hanno fatte
scoppiare, le hanno sbriciolate, le hanno trasformate in una rete fitta
di boite che coprono i nostri campi. E le promesse se le sono
rimangiate, tutte. Ci hanno tolto la terra da sotto ai piedi, tra cassa
integrazione, licenziamenti, contratti trimestrali e lavoro in affitto.
Anche il nostro vecchio modo di stare assieme, nei quartieri, nei paesi,
sul lavoro, non esiste più: i padroni ce l\'hanno tolto, rendendoci muti
e sordi ai nostri simili. Viviamo circondati da marchingegni sempre più
\"intelligenti\", studiati per renderci ogni giorno più stupidi e inutili,
più dipendenti in ogni gesto da un apparato tecnologico che non potremo
mai né comprendere né controllare. Niente è più come prima, ogni
rimpianto è vano. Siamo sempre più precari e soli, nudi nelle mani della
tecnologia. Ecco perché abbiamo di nuovo paura del futuro. Questa paura
non è distante quanto vorremmo dalla paura che vivevano gli sfruttati
della Jugoslavia qualche anno prima della guerra, questa paura deve
prima o poi trovare un nemico. Le chiacchiere sulla nostra presunta
superiorità morale e culturale rispetto ai popoli balcanici sono, per
l\'appunto, solo chiacchiere e come tutte le chiacchiere servono per
confondere e per tranquillizzare. Come loro in quegli anni, viviamo in
un mondo in disfacimento, nel quale il solo legame sociale concreto che
unisce gli sfruttati è la precarietà. In Jugoslavia, i croati hanno
scelto come nemici i serbi, i serbi hanno scelto croati e musulmani di
Bosnia, i musulmani di Bosnia i serbi, per non parlare dei kosovari o
dei macedoni... Una guerra di tutti contro tutti, fatta per non fare
guerra agli unici nemici veri che avevano, ed hanno, le popolazioni
balcaniche: i burocrati, i politici e i padroni. E quando i poveri si
scannano, i ricchi ingrassano. Sono stati proprio loro, i ricchi, grazie
al martellare continuo dei mezzi di comunicazione di massa a far sì che
tutta la tensione sociale si scaricasse verso i \"nemici\" etnici. Prima,
trasformando in nemici quelli che un tempo erano solo vicini di casa,
cognati, abitanti del villaggio di fronte, frequentatori di un\'altra
chiesa, di un\'altra moschea. Poi, organizzando la guerra. Hanno imparato
bene dalla Jugoslavia, i nostri padroni, e stanno costruendo un nemico
anche per noi. In mancanza di meglio ci indicano quello più a portata di
mano, gli immigrati. Ognuno fa la sua parte: i politici parlano di
\"emergenza immigrazione\" e costruiscono lager per clandestini; i
giornalisti sguazzano beati e morbosi in mille episodi di cronaca nera;
i padroni, non contenti di sfruttare noi, ora possono cavare il sangue
anche a immigrati regolari e clandestini; i nuovi fascisti, anche per le
strade di questa città, annusano l\'aria e affilano i coltelli. È facile
odiare chi ha un diverso colore della pelle, chi arriva da terre
insolite, chi parla un\'altra lingua. È troppo facile prendersela con chi
è ancora più precario e spossessato di noi, ancora più impaurito, con
chi approda sulle nostre coste per fuggire i disastri apparecchiati dai
padroni in giro per il mondo. Dai nostri stessi padroni, da chi ha reso
anche le nostre vite sempre più precarie. A nulla servono ora gli
anatemi antirazzisti tanto democratici ed alla moda, come a nulla sono
servite le giaculatorie istituzionali sull\'unità della Nazione e
sull\'italianità comune quando, quarant\'anni fa, l\'odio covava tra
terroni e polentoni. Dal Sud e dal Nord, abbiamo imparato a convivere
solo quando abbiamo scoperto di avere un nemico in comune, i padroni, e
gli abbiamo dichiarato guerra. Che i poveri lottino a fianco dei poveri,
anche oggi, ed alla guerra etnica allestita dai potenti oppongano la
guerra di classe. Perché i nemici, quelli veri, hanno la nostra stessa
pelle, calpestano la stessa nostra terra e parlano la nostra lingua:
sono proprio loro, i gestori della paura, i padroni ed i governi.\"